Riccardo Patrese ed Ayrton senna

Patrese ricorda Ayrton: «Senna era un amico ma in pista finì a ruotate. Dovevamo correre insieme sulla Ferrari»

di Alberto Sabbatini
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C'è un pilota che più di tanti altri ha legato il proprio destino ad Ayrton Senna: Riccardo Patrese. Che, proprio per via di quella tragedia, scelse di ritirarsi per sempre dalle corse di F1. Padovano [INTERVISTA]di nascita, Patrese è il pilota italiano di maggior successo in F1 dopo Alberto Ascari che fu l’unico a vincere titoli mondiali. Dopo di lui per settant’anni nessun altro l’ha mai eguagliato, ma il padovano è quello che ci è andato più vicino: ha vinto 6 GP ed è stato vice-campione del mondo F1 nel 1992. Proprio pochi giorni fa, il 17 aprile, Patrese ha festeggiato i 70 anni. Ed è triste notare che il suo compleanno cade a pochi giorni dalla data di quella tragedia del 1 maggio che gli ha tolto un amico prima che un collega. Per quanto sia Riccardo che il brasiliano avessero caratteri schivi, il rapporto tra i due era molto forte. Ed i loro destini si sono incrociati spesso.

Si può dire che eravate amici?
«Certo. Ci ha accomunato il fatto di abitare a poche centinaia di metri di distanza. Entrambi a Montecarlo. Ayrton aveva preso casa sul lungomare, io vivevo poco distante. Montecarlo è un piccolo centro per cui ci si incontrava spesso in giro a passeggiare sul lungomare. Lui parlava perfettamente italiano quindi il rapporto fra noi era facilitato. A quel tempo il mondo della F1 era più genuino. Noi piloti giravamo il globo ma i tempi erano più dilatati rispetto ad oggi; c’era il modo durante le trasferte di avere tempo libero e trascorrere momenti di svago: ricordo delle memorabili gite sulla barriera corallina quando si andava a correre in Australia. Io e Ayrton frequentandoci avevamo stretto amicizia».

Forse andavate d’accordo perché non avete mai corso insieme: lui era un duro...
«Beh, in pista delle ruotate ce le siamo date senza troppi complimenti. Come tutti. Le corse erano così allora: gli sgarbi si regolavano in pista, restituendo la manovra. Botta e risposta. Non c’erano i commissari come oggi a penalizzarti al minimo sgarro. Ayrton però era uno che non chiedeva mai scusa. Una volta, in Ungheria, ero in pole position e alla prima curva lui mi chiuse di prepotenza. Rischiammo un incidente e a fine gara gli chiesi duramente cosa gli fosse passato per la testa. Lui mica si scusò. Io invece ero uno che non amava litigare, cercavo sempre un accomodamento».

C’è stato però un momento in cui dovevate fare squadra insieme.
«Si, alla fine del 1990. Cesare Fiorio mi disse: sto trattando con Ayrton per portarlo a Maranello. Vorrei un pilota veloce ed esperto al suo fianco e pensavo a te. Saresti d’accordo? Fui molto lusingato dalla proposta di Fiorio. Certo che sì, gli dissi. La Ferrari è sempre stato il mio sogno e fare squadra con Senna mi sarebbe piaciuto moltissimo. Ayrton era completamente d’accordo di avermi come compagno. Poi l’accordo non si concluse perché la trattativa fu ostacolata da altre persone».

Però il binomio Senna-Patrese si sarebbe dovuto riformare nel 1994 se Ayrton non fosse morto. Vero?
«Sì, è vero: pochi conoscono questa vicenda. Io in quell’inizio 1994 ero a piedi perché la Benetton mi aveva lasciato andare ma non avevo ancora deciso di ritirarmi. Semplicemente cercavo una buona opportunità. Quando vidi le prime gare e scoprii che Senna aveva grosse difficoltà a mettere a punto la Williams, mi venne l’idea di propormi al team come collaudatore per aiutare lo sviluppo dell’auto. Conoscevo bene sia la squadra che la monoposto perché l’avevo guidata fino a due anni prima ed ero sicuro di poter dare un buon apporto per migliorarla».


Ma tu eri solo interessato a fare il collaudatore o anche il pilota?
«Beh, c’era anche un interesse da parte mia: avevo ancora voglia di correre. Collaudare la Williams sarebbe stato un modo per tenermi allenato, mettermi alla prova a confronto con Senna e verificare se fossi ancora veloce. In quel caso avrei potuto ambire a fare coppia con Ayrton sulla Williams l’anno successivo».

E cosa successe?
«Mi presentai al sabato del gran premio di Imola in circuito e offrii i miei servigi a Frank Williams e al direttore tecnico, Patrick Head. Loro ne furono entusiasti e Senna pure. Ayrton mi disse: “Benissimo Riccardo, mi fa proprio piacere lavorare insieme a te”. In quattro e quattr’otto l’accordo fu concluso. Addirittura Senna mi portò al garage a vedere la monoposto, spiegandomi per filo e per segno in cosa non si trovasse a suo agio».


E come andò a finire?
«Quel sabato pomeriggio del 30 aprile alle 17, dopo le qualifiche, io e Senna ci siamo stretti la mano nel salutarci e ci siamo dati appuntamento alla settimana successiva in pista per il primo test di collaudo insieme. Invece l’indomani è successa la tragedia».

Quanto ti ha condizionato quella drammatica vicenda?
«Non soltanto ho perso un amico, ma l’incidente ha anche condizionato la mia vita. Pochi giorni dopo la tragedia, Frank mi chiamò per dirmi: dobbiamo cercare un sostituto di Senna per le prossime corse. Te la sentiresti di guidare tu la macchina? In un primo momento dissi di sì. Poi qualche giorno dopo ci ripensai. Noi piloti non pensiamo mai al pericolo, ti convinci sempre che può accadere agli altri ma non a te. Quella volta invece feci una riflessione: se anche il più bravo di tutti noi, com’era Ayrton, poteva subire un incidente mortale vuol dire che il destino non guarda in faccia a nessuno. Ripensai alla mia carriera: avevo già avuto tutto dalla F1 e non me la sentii più a 40 anni di sfidare il destino. Telefonai a Williams e declinai l’offerta di correre con la monoposto di Senna. E smisi per sempre di fare il pilota F1».

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Lunedì 29 Aprile 2024 - Ultimo aggiornamento: 18:30 | © RIPRODUZIONE RISERVATA