Renault Embléme, l’auto che diminuisce del 90% le emissioni di CO2 in tutto il ciclo di vita
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«Lo sviluppo dell’automobile è cambiato e cambierà perché l’auto si sta evolvendo e si evolverà nei prossimi 10 anni più di quanto abbia fatto durante i 36 anni precedenti nei quali ho lavorato in questo in settore». Gilles Le Borgne è vice presidente del gruppo Renault per l’Engineering e ha le spalle forti, non solo per tutta l’esperienza maturata nel progettare automobili, ma anche per il suo fisico da rugbista e la sua barba bianca dalla quale spuntano occhi sorridenti e una voce che scandisce frasi precise con voce profonda.
Lei in Renault si occupa di Engineering, una funzione che negli ultimi tempi è diventata molto più complessa poiché non bisogna provvedere solo alla progettazione e alla produzione della vettura, ma occorre porla all’interno del sistema molto più ampio della mobilità sostenibile che prevede persino il recupero pressoché completo dei materiali alla fine della vita della vettura. Mi può raccontare di questi cambiamenti?
«Per rispondere completamente alla sua domanda mi servirebbero tre ore… lo sviluppo dell’automobile è cambiato e cambierà perché l’auto si sta evolvendo e si evolverà nei prossimi 10 anni più di quanto abbia fatto nei 36 anni precedenti nei quali ho lavorato in questo in settore. La vettura sarà connessa, autonoma, in grado di garantire la transizione energetica. Il costruttore prima doveva realizzare una sintesi tecnologica ed industriale pensando solo allo stile e attingendo il 75%-80% della vettura dalla rete organizzata per livelli di fornitori esterni di sistemi e componenti. Oggi è cambiato tutto. La transizione energetica ci costringe ad avere a che fare con nuove competenze e nuove tecnologie rivedendo completamente la catena del valore anche per cercare di ridurre i costi delle vetture. E per questo che stiamo internalizzando sempre di più tale catena. Ad esempio, per le batterie eravamo partiti dal 15% e siamo arrivati al 50% e per l’elettronica di potenza dal 30% al 75%. Per questo oggi abbiamo molte più joint-venture, partecipazioni e partenariati strategici».
Anche per il software?
«Sì, prima acquistavamo presso Continental, Bosch e Valeo mentre oggi si parte da qualcosa che è realizzato internamente che integriamo. E nel futuro sarà sempre di più così con le piattaforme di nuova generazione. Per il momento abbiamo dovuto collaborare con fornitori esterni come Google perché, se avessimo fatto questo lavoro da soli, ci sarebbero voluti anni».
Intende le piattaforme definite da software?
«Sì, sto parlando dei veicoli definiti da software con architettura elettronica e di calcolo centralizzata, dove tutte le funzioni sono svolte da una o due centraline riducendo drasticamente il numero di quelle ora presenti su un’automobile».
La nuova Scénic è costruita per il 24% da materiali riciclati ed è sua volta riciclabile per il 90%. Ritenete che sia un record o si può fare ancora meglio accrescendo un vantaggio competitivo fondamentale, considerando che recuperare di più vuol dire produrre con meno costi?
«La normativa sulla riciclabilità della vettura esiste in realtà dal 2005, quindi fa parte dei nostri obblighi, ma è comunque qualcosa di complesso da realizzare soprattutto per alcuni particolari come i rivestimenti dei sedili e le finiture. La percentuale del 24% è sicuramente tra le migliori, forse la migliore in assoluto. Noi inoltre già costruiamo le batterie in previsione del loro riciclaggio con metodi di assemblaggio che permettono anche di smontarle e sostituirle».
Si potrà fare ancora meglio con i modelli successivi come, ad esempio, la R5?
«No, per la R5 rimarremo allo stesso livello, fermo restando che dobbiamo ancora lavorare per la neutralità di CO2 attraverso svariati modi. La R5 avrà una piattaforma derivata da quella della Clio (la CMF-B EV, ndr) e questo ci aiuterà a ridurre l’impatto di CO2, anche perché potremo conservare parti già esistenti e che vengono condivise anche con Nissan. Questo ci permette di essere più veloci nella progettazione, nell’industrializzazione e nella produzione con un risparmio netto sui costi così che potremo rendere la R5 accessibile al grande pubblico».
Un altro tema che riguarda l’ottimizzazione dei processi di progettazione è quello dei metodi produttivi, in particolare lo stampaggio. Tesla ha dimostrato con le gigapresse che si possono semplificare i processi riducendo il numero dei pezzi e delle operazioni con risparmio dei costi rinunciando però a parte della flessibilità. Altri costruttori stanno valutando. Ci state pensando anche voi?
«La questione può essere vista da prospettive diverse. A livello di prestazione industriale, posso dirle che per la R5 saremo in grado di ridurre il tempo di produzione complessivo per unità a 9-10 ore. Il gigacasting è sicuramente una soluzione interessante, anche per contenere gli investimenti sullo stampaggio che hanno bisogno di molto denaro. Noi però abbiamo già presse per lo stampaggio in tutti i nostri stabilimenti e dobbiamo ammortarne il costo mentre Tesla è partita da zero. Dunque teniamo sott’occhio la questione tenendola legata all’equazione di business».
Per le batterie quanti fornitori avete?
«Ne abbiamo tre: LG Chem è stato il primo e lo impieghiamo per le celle della Mégane e della Scénic, poi per la R4, la R5 e le Nissan Juke e Leaf abbiamo Envision che installerà una gigafactory a Douai dove facciamo Mégane, Scénic ed R5. Il terzo è Verkor, società nella quale Renault ha una quota di partecipazione del 21% e con la quale stiamo sviluppando una chimica alto di gamma e che utilizzeremo a partire dalle Alpine. Anche Verkor avrà la sua gigafactory a Dunkerque».
Intanto il progresso va veloce: dalla Mégane alla Scénic sono passati solo 2 anni e avete aumentato la densità della batteria del 6%. Come avete fatto?
«In realtà non abbiamo cambiato niente nelle celle, ma solo ottimizzato la capacità effettiva aumentando l’utilizzo della batteria. La base che ci ha permesso di fare questo sono i dati che abbiamo raccolto dai clienti della Mégane e abbiamo impiegato per migliorare la gestione della batteria traendone maggiore energia nei processi di carica e scarica. Dunque non è una questione di chimica, ma di software».
A proposito di chimica. Nel futuro delle batterie vedete solo lo stato solido o state valutando altre soluzioni come le celle al Litio-Ferro-Fosfato per dare la giusta batteria al giusto veicolo?
«Ad oggi, le nostre vetture utilizzano unicamente celle NMC (Nickel-Manganese-Cobalto). Ci siamo chiesti se utilizzare le LFP per la R5, ma l’obiettivo di avere una vettura compatta con 400 km di autonomia ci ha consigliato di no. La LFP ha una densità di energia inferiore e, per raggiungere i nostri obiettivi, avremmo dovuto fare una vettura più grande, più pesante e più alta. Ciò non toglie che le batterie LFP siano in evoluzione e potremmo prenderle in considerazione in futuro. Prevediamo invece che le batterie allo stato solido saranno pronte, come abbiamo già dichiarato, per il 2028».