La MG4 elettrica è una delle auto cinesi con marchio europeo di maggiore successo. Dal paese della Grande Muraglia la parte maggioritaria delle importazioni in Europa riguarda proprio costruttori non cinesi.

L’auto cinese è un gigante dal quale imparare, la ricerca dell’Osservatorio Auto e Mobilità della Luiss

di Nicola Desiderio
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L’auto cinese vale oramai il 5% del mercato sia in Italia che in Europa ed è destinata a diventare entro la fine del 2023 il numero uno al mondo dell’export di auto superando il Giappone con un aumento del 233% rispetto al 2020 quando le auto e i mezzi commerciali prodotti sotto la Grande Muraglia e commercializzati all’estero erano 760mila. Queste e altre dinamiche di mercato sono l’oggetto della ricerca “L’auto cinese in Europa e in Italia: conoscere per decidere” elaborata dall’Osservatorio Auto e Mobilità della Luiss Business School diretta da Fabio Orecchini e Luca Pirolo.

La ricerca evidenzia come la Cina sia già di gran lunga il più grande costruttore del mondo con 27 milioni di veicoli (auto più commerciali leggeri), ovvero il 32% degli 85 milioni totali nel 2022 con il podio completato dagli USA a 10 milioni e dal Giappone a 7,8 milioni. Di questi, il Sol Levante ha spedito oltremare 2,48 milioni di automobili nei primi 9 mesi del 2023, con un vantaggio di sole 30mila unità su una Cina che ha già messo la freccia vista la sua progressione e sta già piazzando il 20% del suo export in Europa. Il valore dell’import dalla Cina è stato nel 2022 di 9,37 miliardi dollari con una crescita del 432% rispetto al 2020 che è ancora più forte in Italia. Qui infatti l’auto cinese in entrata nelle nostre dogane ha presentato fatture per 368,6 milioni, il 640% in più rispetto a due anni prima. E non è finita: perché nei primi 8 mesi dell’anno si registra un ulteriore +237% con 691,4 milioni e la previsione che sarà superato per la prima volta il miliardo.

Le dinamiche per alimentazione tra Europa e Italia sono tuttavia diverse se non opposte. Se infatti nel Continente il 70,8% delle 327.400 auto cinesi arrivate nei primi 9 mesi dell’anno è elettrica e pesa per il 22,9% di tutte le BEV immatricolate, in Italia il rapporto è invertito: oltre 70% dell’export cinese nel nostro Paese ha ancora il motore endotermico nel cofano e solo il 16% sono BEV che tuttavia valgono il 20,4% di tutte le elettriche immatricolate con targa italiana. Si ripete dunque anche in questa fetta di mercato analizzata dalla ricerca dell’Osservatorio Auto e Mobilità la netta biforcazione nelle tendenze che riguardano le forme di alimentazione, con l’Europa che viaggia commercialmente al 14,2% di elettrico nei primi 10 mesi (con il 36,3% in ottobre) e l’Italia che è arrivata solo al 4,1% da gennaio a novembre dove si registra una quota mensile del 5,6%.

Ha senso dunque parlare di invasione dell’auto cinese e di elettrico come cavallo di Troia? Dalla ricerca sembrerebbe di no, anche perché buona parte delle elettriche di produzione cinese sono Tesla e il 54,4% ha sul cofano un marchio non cinese come, ad esempio, MG, Lotus o Volvo. E vale solo in parte il discorso dei prezzi. Se è vero infatti che, secondo Jato Dynamics, i modelli cinesi costano attualmente il 28% in meno rispetto a quelli europei comparabili, proprio sull’elettrico le case asiatiche hanno scelto un posizionamento allineato a quello dei concorrenti, probabilmente perché la richiesta interna è grande e in Europa non c’è bisogno di spingere sull’acceleratore. Alla fine i numeri dicono che nei primi 10 mesi dell’anno l’auto cinese ha piazzato 462.600 pezzi in Europa dei quali 59.400 in Italia con quote di mercato praticamente identiche (4,8% e 5% rispettivamente), ma con una progressione più marcata da noi dove nel 2022 si partiva dal 3% contro il 4% dell’intero Continente.

Come si è arrivati a questi risultati? La ricerca individua tre fasi e altrettanti tipi di strategia. Per quanto riguarda le fasi, la prima è durata da metà degli anni ’80 al 2009 ed è stata segnata dalle joint-venture paritarie con aziende locali imposte dal governo di Pechino a chi voleva produrre in Cina. La seconda fase, della strategia elettrica, parte dal 2009 con la consapevolezza che l’industria occidentale, coreana e giapponese è troppo forte da battere sulle tecnologie tradizionali e quindi occorre puntare all’elettrico. La terza fase, avviata nel 2017, è quella dell’internazionalizzazione che mira ad affermare l’auto cinese sui mercati mondiali. Per tale processo, assistiamo a tre strategie: una punta allo sviluppo dei brand autoctoni, una ad attirare investimenti facendo della Cina un Export Hub per tutti i gruppi mondiali e l’ultima porta invece all’acquisizione di costruttori e marchi occidentali.

Nel caso dell’Italia si registra infine una quarta strategia: quella di vetture importate dalla Cina e il cui assemblaggio è completato sul nostro territorio. Il riferimento è evidentemente al gruppo DR con i marchi DR, Evo e Sportequipe che, pur avendo in listino anche modelli elettrici e ibridi plug-in, puntano all’endotermico e al GPL. L’industria cinese, DR compresa, aveva già tentato lo sbarco a età degli anni Duemila, ma con scarsi risultati dovuti in particolare alle dotazioni, ai contenuti di tecnologia e alla sicurezza. Oggi le auto cinesi raggiugono le massime votazioni EuroNCAP e, grazie anche alla maturazione di industrie autoctone che riguardano altri comparti con le rispettive filiere e alla supremazia sulle batterie, non hanno nulla da invidiare a quelle occidentali e per le elettriche in qualche caso le superano.

Ed è proprio il fattore comprensione e delle tecnologie la chiave che deve guidarci verso un approccio ragionato all’auto cinese, senza averne paura. «L’auto cinese è l’espressione del più grande costruttore mondiale. Molti pensano che siano gli ultimi arrivati o siano di passaggio. Non è così e questo non vuol dire che ci vogliono invadere» commenta il professor Fabio Orecchini. «Dobbiamo invece sapere con chi abbiamo a che fare, cioè una realtà automotive molto avanzata che dobbiamo comprendere per capire come riescono a produrre vetture ad alta tecnologia a costi inferiori, perché la sfida delle auto low cost possiamo anche perderla, ma non possiamo permetterci di perdere la sfida tecnologica con la Cina».

La conoscenza come chiave per decidere è il punto nodale della ricerca e delle scelte che attendono la nostra politica e la nostra industria, soprattutto se i cinesi dovessero decidere di venire a produrre anche in Europa. «In passato siamo stati miopi di fronte alla Cina, in particolare riguardo alle materie prime, all’auto elettrica, alle batterie e ad altre tecnologie. Non sono i cinesi ad invaderci, ma siamo stati noi poco lungimiranti. Per questo dobbiamo imparare la lezione e agire in modo diverso». Il focus deve essere dunque sulle opportunità e sui punti deboli della Cina. Tra questi ultimi c’è la sostenibilità. «Nei prossimi 5-10 anni l’auto cinese avrà il problema di accreditarsi come sostenibile, non solo per l’impatto ambientale nel ciclo di vita, ma anche nel rapporto con il territorio e la società, ma è proprio questo il terreno attraverso il quale potrà avvenire la “normalizzazione” dell’auto cinese». Insomma, per battere il nemico bisogna portarlo sul proprio terreno.

Quando arriveranno i cinesi a produrre in Europa? «Secondo me molto presto – afferma Orecchini – e per loro ci sarà innanzitutto un problema di relazioni industriali e sociali, ma non solo. C’è anche un problema di marginalità e di creazione della filiera che non è affatto secondario. Per questo i costruttori a marchio cinese al momento stanno cercando di posizionarsi non certo nella fascia bassa perché, se un giorno dovessero arrivare a produrre in Europa e non avere abbastanza successo, potrebbero avere problemi di sostenibilità del business. La sfida per loro è invece entrare a far parte del panorama europeo come accadde per i giapponesi negli USA: erano uno spauracchio e invece ora sono parte integrante del sistema economico americano. Certo, c’è una differenza: parliamo di una superpotenza emergente – conclude il direttore scientifico dell’Osservatorio Auto e Mobilità – ma dobbiamo essere capaci di sterilizzare il fattore geopolitico e agire industrialmente per prendere le opportunità e far crescere la nostra industria».

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Domenica 17 Dicembre 2023 - Ultimo aggiornamento: 19-12-2023 09:28 | © RIPRODUZIONE RISERVATA