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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino

Testacoda del governo: tassa le auto che dovrebbe incentivare

Se non fosse un argomento serissimo ci sarebbe da ridere. Questa volta, oltre che il bambino, si rischia di buttare con l’acqua sporca anche la povera mamma che lo stava lavando. È sicuramente encomiabile prendersi cura della salute dei cittadini. Come è di certo una buona cosa occuparsi del settore automobilistico, uno degli asset fondamentali della nostra affaticata economia che genera ripercussioni importanti sulla mobilità, quindi sulla vita dei cittadini e sulla loro sicurezza. Per come si è approcciato il problema c’è però la sensazione nettissima che si sia partiti con il piede sbagliato e, se si continuerà ad insistere con la sballata formula del “bonus-malus”, si rischia di fare molti più danni di quanti potrebbero essere gli eventuali vantaggi.

Che l’emendamento approvato lunedì sera in Commissione Bilancio della Camera possa creare fortissime turbolenze lo confermano due fatti evidenti. Da una parte la brusca frenata di importanti esponenti del governo. Dall’altra un fronte con il pollice giù totalmente compatto come non si vedeva da tempo. In pratica nessuno ha dato sostegno al lavoro fatto e rivendicato da Davide Crippa sottosegretario al Mise e del suo alter ego al Mit Michele dell’Orco, entrambi del M5S. Già ieri mattina hanno frenato entrambi i vicepremier; prima Matteo Salvini, che si è dichiarato contrario a qualsiasi altra tassa sull’auto, poi Luigi Di Maio che ha convocato un tavolo al suo Ministero per discutere dell’argomento, una mossa evidentemente da fare prima perché l’incertezza turba i mercati e frena una domanda già fiacca.

Molto più pesanti le critiche provenienti da tutte le direzioni, da organizzazioni spesso in contrasto fra loro. Si sono ribellati i costruttori, attraverso l’Anfia e l’Unrae; non ha certamente gradito Fca che proprio nei giorni scorsi ha annunciato importanti investimenti in Italia. Ma hanno protestato anche i concessionari, i sindacati, le associazioni dei consumatori, addirittura i verdi. Insomma il provvedimento sembra piacere solo ai due sottosegretari con il minimo appoggio di una loro collega, la viceministra dell’Economia Laura Castelli. Questa volta le ragioni del no al cambiamento sono parecchio evidenti perché i malus schiacciano i bonus creando danni sull’intero scenario.

Si rischia di penalizzare quasi tutti gli automobilisti, c’è il pericolo di perdere Pil e posti di lavoro e la quasi certezza di non migliorare affatto la qualità dell’aria perché un rallentamento delle vendite avrebbe ripercussioni dirette sul tanto necessario rinnovo del parco circolante che in Italia resta uno dei più vecchi d’Europa e questo si traduce in forti penalizzazioni sul piano delle emissioni e su quello della sicurezza. Un mezzo disastro. Sia ben chiaro, la mobilità del futuro è quella sostenibile, cioè quella elettrificata, e non c’è nulla di male a pensare già ora a qualche forma di sostegno per gli ancora pochi veicoli “zero emission” in listino, un segnale strategico che all’estero quasi tutti hanno già dato.

Paesi dove però i governi si sono preoccupati pure di spingere e sostenere la rete di ricarica cosa che non è avvenuta da noi dove soprattutto l’Enel si è accollata l’onere di andare avanti con un programma ambizioso finanziato con investimenti propri. Quest’anno da gennaio a novembre sono state vendute in Italia solo 4.630 vetture elettriche. È vero, è il 156% in più rispetto alle 1.819 degli 11 mesi del 2017, ma è facile convenire che sono ancora ben poca cosa rispetto al 1.798.078 del mercato totale. E qualsiasi forma di incentivazione anche corposa difficilmente consentirà nel breve al volume delle elettriche di impattare su quello complessivo.

Le auto ad emissioni zero sono già eccellenti per alcuni, ma non ancora per tutti, quindi per i grandi numeri devono necessariamente essere sostenute ancora le motorizzazioni tradizionali e non penalizzate con delle tasse come questo provvedimento richiede. In grandi linee il malus farebbe salire i prezzo di oltre l’80% delle vetture che si sono vendute quest’anno, quindi una vera tassa nemmeno troppo nascosta sull’intero settore messa da un governo che ha fatto della riduzione della pressione fiscale una bandiera. In realtà, anche molti di quei modelli che si vogliono tassare andrebbero invece incentivati per togliere dalle strade le vecchie carrette (rottamazione).

Le risorse? Potrebbero provenire dall’Iva delle vendite aggiuntive, come già avvenuto in passato (1997). Di fronte a tanta confusione gli automobilisti non possono che restare frastornati e, quanto meno, rimandare l’acquisto. Nell’ultimo periodo hanno dovuto già accettare la guerra delle amministrazioni cittadine al diesel con blocchi del traffico spesso immotivati e hanno spostato il loro interesse sulla motorizzazioni a benzina. Ora arriva la manovra opposta che mette nel mirino la CO2, sostanza che proprio le auto a benzina emettono più di quelle a gasolio. Normale che il consumatore sia come minimo confuso.

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Sabato 8 Dicembre 2018 - Ultimo aggiornamento: 13:36 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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