Le gigapresse di Idra utilizzate da Tesla

Tecnologia delle gigapresse. I rivali sulla scia di Tesla: Toyota grazie a Lexus sarà la prima ad arrivare

di Alessandro Marchetti Tricamo
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Su Elon Musk si è detto e scritto di tutto. Gli amici e parenti lo descrivono incline alla “modalità demone”, capace di passare in una frazione di secondo dal sorriso all’ira e viceversa. Una bussola senza ago, “un impulsivo e, a volte, immaturo”, per il suo biografo Walter Isaacson, in grado però di intuizioni che sfuggono ai più. Che non è solo un’auto elettrica – ci aveva già pensato Henry Ford oltre 100 anni fa – ma il modo di produrla. È qui che l’innovazione si fa colpo di genio e prende il nome di “gigapress”, dove quel “giga” identifica la spropositata autostima nella quale Musk si specchia. L’idea è produrre un’auto elettrica a costi più bassi, per renderla accessibile ai più (secondo Jato Dynamics oggi in Europa il prezzo medio di listino di un veicolo elettrico è di oltre 65mila euro) e arricchire ancor di più la cassaforte di famiglia. La soluzione è un’enorme macchina di pressofusione delle dimensioni di un campo da tennis, in grado di produrre elementi strutturali in lega di alluminio di grandi dimensioni, riducendo così il numero di pezzi elettrosaldati necessari per l’assemblaggio di una vettura.

Qualche numero da “gigapress”: oltre 100 kg di metallo fuso iniettati in uno stampo ad una velocità di 10 metri al secondo, pressione sullo stampo di 6-9mila tonnellate, durata di ogni ciclo di 120 secondi e lunghezza massima di un pezzo realizzato di circa 2,2 metri. Elementi così grandi che fino a qualche anno fa nessuno sognava di realizzare in un solo colpo. Nessuno tranne Musk e un’azienda italiana (dal 2008 di proprietà della cinese L.K. Technology), l’Idra di Travagliato in provincia di Brescia, che di Tesla è ormai partner tecnologico fondamentale. «Vorrei produrre il pianale di un’auto in un solo pezzo», ci disse Musk qualche anno fa all’inizio della sua avventura.
Non c’è ancora riuscito, oggi i pezzi sono tre ma è solo questione di tempo e chissà non ce la faccia - grazie a una “gigapress” da 16mila tonnellate - con la piccola Model 2 da 25mila dollari attesa per fine 2024. Nel frattempo la “gigapress” ha ridotto i costi di produzione di circa il 40%, con l’obiettivo di arrivare a breve al 50%. Per la felicità di investitori e analisti: il titolo Tesla ha invertito il trend ribassista e, nonostante il calo dei margini degli ultimi trimestri, la quotazione, seppur lontana dagli oltre 400 dollari del 2021, è tornata sopra i 200 dollari (più del doppio rispetto a gennaio). 

Il contributo della “gigapress” è utile anche alla causa della sostenibilità: basso numero di scarti di produzione, tempi di produzione minori (per una Model Y circa in 10 ore rispetto a una media delle concorrenti tre volte superiore) ed elevata efficienza energetica. Altri ancora i vantaggi: meno ingombri per l’eliminazione di molti dei robot necessari alla elettrosaldatura, maggiore libertà di sviluppo della vettura per designer e ingegneri che possono così massimizzare lo spazio interno, aumentando la versatilità a bordo. Difficile per il resto dell’industria automobilistica restare indifferente, soprattutto se si è ancora alla ricerca del giusto equilibrio tra costi e volumi promessi. A cominciare da Toyota. La “gigacasting” giapponese - anche la semantica è una sfida da non perdere con Tesla – servirà a realizzare inedite piattaforme modulari da tre pezzi: anteriore, posteriore e “skateboard” centrale dove alloggiare il pacco batterie. La base sarà utilizzata da 6 nuovi modelli elettrici a partire dal 2026, con una riduzione dei costi dello sviluppo del 20% e degli investimenti per lo stabilimento del 50%. Nel complesso la nuova generazione di elettriche Toyota realizzate con la “gigacasting” dovrebbe raggiungere 1,7 milioni di unità entro il 2030, poco meno della metà dei 3,5 milioni complessivi. Un’anticipazione si è vista in ottobre al Japan Mobility Show di Tokyo con due prototipi elettrici Lexus dalle linee futuribili: l’LG-ZC che anticipa le forme di una berlina elettrica attesa nel 2026 e l’LG-ZL un manifesto dei suv a batteria che arriveranno. 

Con qualche mese di anticipo si è mossa anche Volvo: la Casa svedese produrrà solo auto elettriche dal 2030 e ha annunciato un investimento di poco meno di 1 miliardo di euro nello stabilimento di Torslanda.
«La fusione delle parti principali della struttura del pavimento dell’auto in un unico elemento in alluminio riduce il peso del veicolo, il che ne migliora l’efficienza energetica e quindi l’autonomia» hanno spiegato i manager svedesi parlando della loro “megacasting” - dal suffisso più austero ed essenziale - prevista a Torslanda. La stessa direzione è stata presa da Ford e Hyundai. C’è però anche chi non sembra interessato. È il caso in particolare dell’industria tedesca: il gruppo Volkswagen, dopo aver annunciato un possibile uso della tecnologia per la seconda generazione dei suoi modelli elettrici (progetto Trinity), sembra ora più cauto sul da farsi. Bmw e Mercedes finora non hanno invece mai dichiarato esplicitamente la volontà di adottare in tempi brevi questa tecnologia. Anche gli austriaci di Magna, uno dei principali fornitori dell’industria automobilistica mondiale e leader per la produzione di elementi in metallo per l’architettura di un veicolo, hanno qualche dubbio: «Sappiamo che Tesla è molto attiva in questa direzione e che altre Case guardano con interesse, ma penso ci voglia attenzione», ha spiegato Uwe Geissinger, responsabile di Magna per il mercato europeo.

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Mercoledì 29 Novembre 2023 - Ultimo aggiornamento: 19-12-2023 09:30 | © RIPRODUZIONE RISERVATA