• condividi il post
MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
La Ferrari 499P di Fuoco-Molina-Nielsen festeggia dopo aver vinto l'adizione numero 92 della 24 Ore di La Mans

Ferrari sbanca Le Mans: la tecnologia italiana vince, per il secondo anno di fila, la corsa più prestigiosa del mondo

di Giorgio Ursicino

Il made in Italy sbanca Le Mans: è ancora Ferrari. Il grimaldello, manco a dirlo, è la Motor Valley. Un’eccellenza assoluta quando si parla di tecnologia e motori, di tradizione e passione. Dopo un’edizione spettacolare come non mai, con al via una ventina di bolidi che, almeno sulla carta, avevano il pedigree giusto per puntare alla vittoria, nell’ultima mezz’ora c’erano almeno quattro i brand automotive che sognavano ancora il trionfo. Globali e prestigiosi, tutti ricchi di storia e provenienti dalle tre aree geografiche che contano nel mappamondo del nuovo millennio: Europa, America ed Asia. Eppure, la 24 Ore è sempre stato un fortino “casalingo”, dove i costruttori del vecchio continente non hanno mai lasciato spifferi per infilarsi a chi veniva da lontano.

Con due sole eccezioni: la Ford, negli anni Sessanta, con uno storico poker consecutivo, e la Toyota, a cavallo degli anni venti del nuovo millennio, con un cinquina di fila altrettanto perentoria. Il resto è una sfilata di esclusivi marchi continentali. Solo per citarne alcuni in oltre un secolo di storia: Bentley, Alfa Romeo, Bugatti, Ferrari, Jaguar, Mercedes, Aston Martin, Porsche, Renault, Alpine, Peugeot, BMW, Audi. Ieri, nell’edizione numero 92 della maratona delle quattro ruote, il colpo da maestro l’ha messo a segno la Ferrari che, con abilità diabolica, si è portato a casa il suo 11° Trofeo. Soprattutto il secondo consecutivo dopo quello dello scorso anno che segnava il ritorno ufficiale nella lotta per la vittoria assoluta dopo un digiuno di mezzo secolo esatto. Una festa grande. Un’apoteosi.

La corsa è stata spettacolare e un po’ originale, la sintesi di come il motorsport moderno abbia cambiato le corse automobilistiche sul sacrosanto altare della sicurezza. La battaglia è stata martoriata della pioggia che andava e veniva, trasformando l’asfalto in una camaleontica palude che a volte aveva l’energia di un torrente di montagna. Quando le vetture sbattono bisogna intervenire azzerando i rischi e poi ripristinare le barriere per riprendere a girare. Risultato, la competizione si è svolta per un quarto in regime di safety car (nei tempi eroici non c’era...) e le vetture hanno percorso “appena” 311 giri.

Basti pensare che, solo nel 2010, l’Audi a gasolio vincitrice di giri ne mise in archivio 397, un terzo in più di quest’anno, per una distanza totale di 5.410,71 chilometri alla fantastica media oraria di 225,446 km/h. Per ritrovare un’andatura simile bisogna tornare indietro di oltre mezzo secolo quando, nel 1971, Helmut Marko (sì, il super manager talent scout della Red Bull) s’impose con l’olandese Gijs van Lennep (all’epoca, per rendere le cose più eroiche, si correva solo in due) alla media di 222,304 km/h, viaggiando per 5.335,313 km. Come è possibile che oltre cinquant’anni fa i bolidi fossero più veloci di quelli attuali? Semplice, senza chicane il tracciato di Le Mans era un grande ovale di oltre 13 km che aveva il lungo rettilineo delle Hunaudières di oltre 6 km da percorrere tutto d’un fiato. In pieno.

La corrida è stata appassionante, sempre incertissima. Alla fine Maranello ha trionfato, ma mai passeggiato. Nei box anche l’uomo in più di Maranello, il “genio-inventore” Benedetto Vigna che, da quando ha preso le redini del Cavallino, lo sta facendo correre più forte che mai. Non manca nei momenti topici, ma lascia sempre la scena ai suoi ragazzi. A La Sarthe c’era anche lo scorso anno, dietro le quinte e non sul palcoscenico. Lo scontro è stato senza riprendere fiato, lungo 86.400 secondi come tutte le giornate. Diverse rivali si sono alternate il testa, ciascuna approfittando della situazione mutevole che più gradiva.

Le Rosse, fra le quali c’era anche una terza 499P gialla ma identica, erano le più in palla con la pista asciutta, quando si poteva sfruttare a fondo il potenziale di un progetto innovativo e ambizioso. Veloce nei lungi rettilinei, agile nelle chicane, stabilissima nelle virage Porsche da percorrere in appoggio. Più in difficoltà quando cambiava situazione e bisognava gestire la temperatura delle gomme. Ha vinto la numero 50, quella condotta da Fuoco-Molina-Nielsen, ma la 51 trionfatrice lo scorso anno è arrivata a soli a 36 secondi dalla sorella dopo 24 ore di fuoco. Fra le due, è salita sul podio la Toyota che, prima del ritorno Ferrari, aveva dominato per un quinquennio.

Gli ultimi giri sono stati al cardiopalma. Nielsen, che era in testa, veniva richiamato ai box per chiudere una portiera rimasta aperta. Una sfortuna incredibile: fare una sosta in più sul filo del rasoio significava buttare via i sogni di gloria. La Ferrari tentava il tutto per tutto: fare il pieno e provarci, o la va o la spacca. Certo, serviva qualche piccolo aiutino per percorrere con un pieno di benzina quell’ora che ancora mancava. E gli aiuti ci sono stati: diverse bandiere gialle hanno strozzato l’andatura e ci si è messa anche la pioggia a tenere tranquilli i motori. Così Nielsen ce l’ha fatta per soli 14 secondi. Eccellente la presenza italiana: le Lamborghini sono arrivate decima e tredicesima, nello stesso giro delle Peugeot, la Isotta Fraschini, alla sua prima 24 Ore, ha chiuso alle spalle del secondo bolide di Sant’Agata.

  • condividi l'articolo
Lunedì 17 Giugno 2024 - Ultimo aggiornamento: 18-06-2024 10:06 | © RIPRODUZIONE RISERVATA