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MILLERUOTE
di Giorgio Ursicino
La Toyota Mirai fa rifornimento ad un distributore d'idrogeno

Il futuro è dell'auto a idrogeno: emette solo ecologico vapore acqueo

di Giorgio Ursicino

Benedetto idrogeno, se usato con cognizione darà un contributo fondamentale a cambiare il volto del pianeta. O meglio, riportarlo il più possibile al suo vecchio aspetto, prima che le frenetiche attività umane ne alterassero il magico equilibrio con un inquinamento senz’altro esagerato. L’idrogeno è abbondate in natura e può sprigionare tantissima energia, generando solo vapore, acqua. Non è una “fonte”, ma un “vettore” (come l’elettricità o i derivati del petrolio), in grado di accumulare e trasportare la forza dove e quando serve. Siccome in natura non va a spasso da solo, bisogna attuare un processo capace di “isolarlo” che, a sua volta, richiede energia.

Se questa, però, proviene da sorgenti rinnovabili, il gioco è fatto. Con reazioni addirittura nucleari, può spingere fuori dall’atmosfera i razzi spaziali. Ma è meglio non farlo infiammare in quanto può diventare parecchio scorbutico se non utilizzato con attenzione, come dimostra l’incendio dello Zeppelin che mise fine all’Era dei dirigibili, i giganti con la testa fra le nuvole. Con le Fuel Cell, le celle a combustibile, invece, diventa docile docile e, reagendo con l’ossigeno dell’aria, sprigiona energia elettrica e vapore acqueo. Il sogno s’avvera, il processo può essere completamente pulito, dall’inizio alla fine.

Una cosa deve essere ben chiara: non c’è dualismo fra veicoli a batterie e quelli ad idrogeno semplicemente perché sono, più o meno, la stessa cosa. Entrambi sono al 100% elettrici. Uno è alimentato dall’energia immagazzinata negli accumulatori, l’altro da quella garantita dall’idrogeno che reagisce nelle fuel cell e genera potenza. Due facce della stessa medaglia, la svolta energetica percorsa per strade diverse che sboccano alla stessa meta: la mobilità sostenibile. Come per le colonnine, il futuro dell’idrogeno è legato alle sorti del network di distribuzione. L’industria motoristica, in miglioramento continuo, la sua parte l’ha già fatta. I mezzi del futuro esistono e funzionano benissimo.

Ora bisognerà attendere le infrastrutture che, a volte, sono molto più complesse e costose da realizzare. Sull’evoluzione dello scenario analisti e strateghi sono allineati. All’inizio la “green mobility” sarà trainata dalle batterie che, nonostante aumenteranno le performance e ridurranno i costi, verranno pian piano affiancate dall’idrogeno che, fra 10 o 15 anni, diventerà un competitor anche dal punto di vista dei volumi. C’è qualche integralista che parteggia per una delle due soluzioni, ma secondo la maggioranza conviveranno civilmente, dividendosi il mercato a seconda dell’utilizzo.

L’idrogeno ha il suo punto debole nella complessità di distribuzione e nei costi delle stazioni di rifornimento perché allo stato gassoso deve essere trattato a 700 atmosfere, a quello liquido a -250 gradi di temperatura. Quando verranno risolti i problemi di movimentazione, però, l’idrogeno potrebbe fare il sorpasso visto che viene stoccato in serbatoi inerti, che non si esauriscono come le celle della batterie e hanno costi di riciclaggio a fine vita decisamente inferiori. H2, invece, non offre la possibilità di dialogare e scambiarsi energia con la rete per stabilizzare l’infrastruttura nell’epoca delle rinnovabili.

Al momento fra i due il confronto non è proponibile, i mezzi a batterie sono decollati mentre quelli ad idrogeno, dal punto di vista commerciale, sono ancora allo stato embrionale. Qualche esempio. In Europa ci sono 250 mila punti di ricarica per l’elettrico che diventeranno 1,3 milioni nel 2025 e 2,9 milioni nel 2030, di cui oltre 700 mila solo in Germania. Le stazioni stradali di rifornimento di idrogeno sono come mosche bianche con il Belpaese maglia nera con un solo distributore, vicino al confine austriaco. Ci sono progetti e idee di farne altri, ma nessun impegno ufficiale.

Alcuni piani molto accreditati negli anni scorsi hanno clamorosamente fallitole previsioni. Quattro anni fa si ipotizzavano nella Penisola 20 stazioni, 1.000 vetture e 100 autobus nel 2020. Oggi abbiamo un solo distributore e una micro flotta di qualche decina di veicoli. Leggermente diversa la situazione negli altri paesi anche se si tratta sempre di un’atmosfera pionieristica che, anche nei prossimi anni, non riguarderà la mobilità di massa. A differenza delle tecnologia delle batterie, che vede in pole position i due grandi paesi Cina e Stati Uniti (per merito di Tesla ma non solo), nell’idrogeno sono in testa i paesi con una tradizione motoristica più consolidata, il Giappone e la Germania.

Il Sol Levante è la patria dell’idrogeno, non solo per la presenza di costruttori come Toyota e Honda che hanno fatto da apripista. Dalle parti di Tokio lo scorso anno erano già operative 119 stazioni che diventeranno 160 alla fine del 2020 per poi salire a 320 nel ‘25 e 900 nel ‘30. Pechino avrà un andamento simile anche se può vantare un territorio molto più grande. La California avrà 200 distributori nel 2025, anche se ha la media più elevata per numero di veicoli circolanti/stazioni di rifornimento (molte delle  10 mila Mirai vendute girano nel Far West). In Europa ci sono 134 punti per fare il pieno di H2 e 47 sono in costruzione. La Germania domina la scena con 86+21, lasciando agli altri le briciole.

Anche qui i costruttori sono avanti negli studi, soprattutto Audi, Bmw, Daimler, Opel e Volkswagen. La Mercedes è l’unica ad avere un modello regolarmente in listino (la GLC F-Cell) e soprattutto sta lavorando sui veicoli pesanti, i trattori stradali per i lunghi viaggi internazionali (buona l’autonomia, ottimo il tempo di rifornimento). Proprio i trasporti pesanti (Tir ma anche autobus) sembrano i primi a beneficiare di questa tecnologia. I coreani della Hyundai nei giorni scorsi hanno consegnato un lotto di veicoli industriali alla Svizzera e la start up americana Nikola presto inizierà la produzione in Germania in una fabbrica Iveco di cui è partner.

La Exor di John Elkann, infatti, ha fatto acquisire circa l’8% del capitale dell’azienda di Phoenix alla CNH per 250 milioni. Investimento che si è moltiplicato per quattro pochi mesi fa, quando Nikola è stata quotata al Nasdaq. L’idrogeno ha molte prospettive anche nel settore aeronautico ed è una realtà già consolidata nel trasporto navale e, soprattutto, in quello ferroviario. Sulle navi le Fuel Cell servono in particolare per produrre energia per i servizi di bordo, ma possono anche dare forza ai grandi motori elettrici per la navigazione.

Nei treni svettano i francesi di Alstom. I primi di questi convogli passeggeri, però, sono in servizio da un paio d’anni in Bassa Sassonia. Intanto la Total, l’ex compagnia petrolifera di Stato francese ha fatto un altro passo oltre a costituire una joint venture con la Psa per la realizzazione delle celle delle batterie. Alla recente edizione della 24 Ore di Le Mans, l’evento di motorsport più importante e prestigioso del mondo, ha fatto girare in pista un prototipo a idrogeno che nel 2024 parteciperà alla maratona. Anche H2 si è messo a correre.

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Sabato 14 Novembre 2020 - Ultimo aggiornamento: 18-11-2020 12:44 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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