Jacques Villeneuve

Jacques Villeneuve: «Se mi offrono una vettura torno per vincere Le Mans»

di Jacques Villeneuve
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LE MANS - Se devo dire tutta la verità sarei molto contento se potessi disputare ancora una volta la 24 Ore. È anche una questione d’orgoglio: nel 2008 con il secondo posto avevo sfiorato la conquista di quella che viene comunemente chiamata triple crown, cioè la tripla corona che si assegna al pilota che abbia vinto il Mondiale di F1, la 500 Miglia di Indianapolis e, appunto, la mitica corsa della Sarthe. Io avevo già centrato due obiettivi e avrei potuto assommare il terzo. Nella storia solo un pilota, Graham Hill, ci è riuscito sinora e avrei potuto affiancare con grande orgoglio il mio nome al suo.
 

 

Ho visto che in questi giorni anche Fernando Alonso ha provato a vincere nel circuito-catino degli Usa e sono convinto che ci proverà ancora, così come probabilmente tenterà in futuro la fortuna anche a Le Mans. Non nascondo che, a 47 anni, mi sentirei ancora di affrontare la gara che mi manca, se mi offrissero una macchina competitiva per fare parte di una squadra all’altezza di lottare per il successo. Detto questo, posso parlare delle mie due gare, piuttosto sfortunate, in Francia. Debuttai nel 2007 con la Peugeot 908 Hdi Fap, in squadra con Marc Gené e Nicolas Minassian.


Due colleghi esperti e veloci. Eravamo piazzati al secondo posto quando, a meno di 2 ore dal termine fummo costretti, prima a rallentare, poi a ritirarci definitivamente per problemi di motore. Nel secondo tentativo, l’anno dopo, con lo stesso equipaggio era andata un po’ meglio. La nostra macchina era velocissima, soprattutto in curva aveva una tenuta e un’aderenza straordinarie. Tanto è vero che in qualificazione le vetture gemelle della Casa francese ottennero i primi tre posti, con Sarrazin che staccò di oltre 5 secondi la migliore delle Audi, le nostre rivali dirette.

Tutto procedeva dunque per il meglio. Eravamo molto fiduciosi e persino ottimisti. E, in effetti era stata perfetta, era da vincere. Ma siamo riusciti a perderla. Non era da secondo posto come è avvenuto al termine, quello non era stato un bel piazzamento, ma un brutto risultato. Perché avevamo la macchina più veloce in pista e noi tre piloti viaggiavamo molto bene. Alla Peugeot, che aveva risolto quasi tutti i problemi dell’anno precedente, era rimasto un solo grosso inconveniente: le grandi prese dinamiche per far fluire l’aria fresca nei radiatori, si riempivano di pezzi di gomma, detriti e anche foglie. Si sporcava molto l’entrata e ogni 8-9 ore bisognava fermarsi per pulire. La squadra che dirigeva le operazioni dal box, invece di fermarci al primo momento opportuno per pulire ci aveva comunicato di continuare effettuando soltanto i rifornimenti di benzina e il cambio di pilota per non perdere secondi a loro avviso preziosi.

Per evitare rischi, tuttavia, ci avevano anche consigliato di viaggiare per due ore alzando il piede dall’acceleratore per metà rettilineo, non accelerare tutto ed è stato il periodo in cui si il nostro vantaggio, già minimo si è ridotto di più. Poi, comunque, hanno dovuto fermarci in ogni caso per pulire i condotti e questo è successo di nuovo a 2 ore dalla fine. Io non ricordo bene quando ci siamo trovati in difficoltà perché in quel momento stavo dormendo. Avevo ripreso la testa della gara guidando anche sul bagnato, condizione che favoriva i nostri avversari, ma avevo superato l’Audi con la pioggia in pista. Eravamo a metà corsa, dodici ore superate. Nel momento in cui sono tornato al volante avevamo mezzo giro di ritardo, mi pare un paio di minuti scarsi.

Nel finale però andavamo 2-3 secondi più veloci. Mancavano ancora due ore alla conclusione e potevamo attaccare l’Audi di McNish, Capello e Kristensen. Soprattutto potevamo mettere pressione costringerli, magari, a fare qualche errore. Kristensen a un certo punto fu autore di un testa-coda, ma fu bravo a limitare i danni e a evitare di danneggiare la sua macchina. Infine, proprio nel finale la nostra Peugeot, mentre stavamo recuperando molto tempo, ha cominciato a surriscaldare il motore.

Ragion per cui il team ha deciso di assicurare il secondo posto. Mi ero arrabbiato parecchio perché il propulsore era diesel e con quello puoi anche rischiare di continuare a spingere, probabilmente non si sarebbe rotto. Inoltre c’era un’altra Peugeot alle nostre spalle e il podio sarebbe stato comunque assicurato. Un vero peccato, perché occasioni così non ne hai altre, difficilmente si ripetono.

È comunque bello correre a Le Mans perché la macchina si può guidare con aggressività. Tutti i giri sono tirati come in F1, non sembra neppure una gara di durata, non c’è un momento di relax. Non devi risparmiare energie quindi è molto divertente. L’unica cosa che disturba è il traffico e il pericolo è rappresentato dai piloti dilettanti, sarebbe meglio che non ci fossero. La gara è affascinante perché devi superare te stesso, devi tirare fuori forze che non pensi più di avere, soprattutto quando guidi di notte e sei già molto stanco. In compenso quando è buio è come essere in autostrada di notte: sei tranquillo non vedi gente, sei concentrato, sei nel tuo mondo ed è fantastico.

Mi è piaciuto molto: non ho scelto io i compagni di squadra, ma andavamo bene, c’era rispetto fra noi. La cosa difficile è trovare un assetto della macchina che vada bene per tutti. Finisci per dover guidare una macchina che non è perfetta per te, però fa parte di una sfida fantastica che ti resta nella memoria. Fra le molte cose che ho fatto nella mia carriera professionale, resta una di quelle più intriganti e indimenticabili.
 

 

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Sabato 17 Giugno 2017 - Ultimo aggiornamento: 22-06-2017 13:29 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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