La Ford GT mentre taglia il traguardo della 24 di Le Mans nel 2016

Ford GT, Principessa delle 24 ore: ha vinto sia la maratona francese che quella Usa di Daytona

di Nicola Desiderio
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LE MANS - Tornare da vincitori a Le Mans è un onore, ma anche un onere per la Ford che schiererà di nuovo le sue GT a difesa di un trionfo conquistato lo scorso anno contro le Ferrari, proprio come 50 anni prima con le GT40 e che solo le vetture di Maranello sembrano poter ostacolare. Aston Martin, Corvette e Porsche permettendo. La Ford GT intanto è entrata ufficialmente in produzione attraverso la prima tranche di 500 unità annunciando anche i dati tecnici ufficiali. Il motore V6 di 3,5 litri biturbo eroga 656 cv a 6.250 giri/min che, con un peso di 1.385 kg, corrisponde ad un rapporto peso/potenza di 2,11 cv/kg per prestazioni da vera supercar: 347 km/h e 0-60 miglia orarie (0-96 km/h) in meno di 3 secondi. Un’animale di razza, il cui fascino è apparso subito luminoso nella misura in cui ha saputo vivere a lungo nel buio prima di rivelarsi.
 

 

Così la pensarono i massimi vertici di Ford Motor Company quando decisero di intraprendere un progetto che doveva essere portato avanti nella massima segretezza, tanto da non avere un nome e da rimanere confinato per 18 mesi in uno scantinato del quartier generale di Dearborn, dove l’accesso era consentito solo ad una dozzina di persone. Solo più avanti fu battezzato Phoenix e quello che fu definito “un vero e proprio patto di sangue” non si ruppe neppure il giorno prima del debutto al Salone di Detroit del 2015 quando Bill Ford presentò la Ford GT a 5mila dipendenti, ma di essa non trapelò neppure uno schizzo.

Altrettanto sicuro è che la Ford GT è anche un animale nato per correre. Lo dicono la scocca in fibra di carbonio, i sedili fissi incorporati nel telaio e lo dice la forma, che senza indulgere in inutili nostalgie, adotta un’aerodinamica avanzatissima con la forma a goccia, più simile a un prototipo che ad un’auto da targare e che, solo per regolamento, deve fare a meno dei vari dispositivi mobili come il DRS. È così che gli uomini dell’Ovale Blu hanno creato un oggetto che ha già vinto un posto nella storia prima di vincere a Le Mans, un’aura che si è trasformata ben presto in una fila di oltre 7mila persone disposte a pagare mezzo milione di dollari per avere l’onore di averla.

Ora però c’è l’onere di confermare la vittoria dello scorso anno e, per questo, Ford schiererà di nuovo il suo squadrone composto dalle due vetture che corrono nel WEC e da quelle che invece corrono Oltreoceano nell’IMSA, tutte gestite dal Team di Chip Ganassi, uno che, come molti altri personaggi nella storia delle corse, da pilota non ha combinato molto, ma da team principal ha vinto praticamente tutto: 17 titoli e oltre 160 corse, tra le quali quattro 500 Miglia di Indianapolis, sei 24 Ore di Daytona, altrettante 12 Ore di Sebring. E la 24 Ore di Le Mans di categoria dello scorso anno.

In entrambi i campionati di pertinenza l’avvio della Ford GT è stato all’altezza: pole position e vittoria a Silverstone e vittoria anche alla 24 Ore di Daytona seguite da un secondo posto alla 12 Ore di Sebring e a Long Beach e un quarto e quinto posto a Austin per colpa di un incidente. A Spa invece le Ford GT si sono dovute arrendere allo strapotere Ferrari non andando oltre il terzo e quarto posto. La macchina dunque c’è, sia per le prestazioni sia per l’affidabilità, e i piloti sono tutti di grande caratura, una collezione del meglio dei manici d’Oltreoceano che legittima ancora di più il ruolo della Ford GT quale sfidante americana in terra d’Europa. La vettura numero 68 vincitrice lo scorso anno nella classe GTE dovrà però fare a meno di Sébastien Bourdais, reduce da uno spaventoso incidente a 370 km/h durante le prove della 500 Miglia di Indianapolis.

Il francese, nato proprio a Le Mans e che ha vissuto la sua infanzia a 100 metri dalla Tertre Rouge, avrà un degno sostituto: il brasiliano Toni Kanaan che a Indianapolis ha vinto nel 2013, ma non ha mai guidato a Le Mans, ed affiancherà l’americano Joey Hand, vincitore di classe nel 2011 a Daytona e nel 2012 a Sebring oltre che campione mondiale 2011 nell’ALMS GT insieme al terzo della compagnia: il tedesco Dirk Müller (GER), colui che nel 2016 portò la Ford GT vittoriosa fino alla bandiera a scacchi. La numero 66 sarà guidata invece da Stefan Mücke (Ger), Olivier Pla (FRA) e Billy Johnson (USA), mentre la 67 vedrà alternarsi al volante Andy Priaulx (GBR), unico pilota al mondo ad aver vinto 4 titoli consecutivi nei campionati Turismo. Accanto avrà il connazionale Harry Tincknell, vincitore a Le Mans nel 2014 della classe LMP2 e campione in carica della European Le Mans Series (ELMS), e l’altro nuovo della compagnia: il brasiliano Luis Felipe “Pipo” Derani. Anche in questo caso non si tratta di uno qualsiasi: nel 2016 ha vinto 24 Ore di Daytona e 12 Ore di Sebring al volante di una Oreca-Nissan.

La 69 sarà guidata da un trio tutto anglofono: l’australiano Ryan Briscoe (che ha corso anche in Italia per la Prema Powerteam), il britannico Richard Westbrook e soprattutto il neozelandese Scott Dixon, 4 volte campione Indy Car Series, due volte vincitore alla 24 Ore di Daytona (2005 e 2016) e una alla 500 Miglia di Indianapolis (2008) dove quest’anno aveva fatto segnare la pole position. Ma il sogno di fare il bis si è infranto al 53° giro quando la sua Dallara-Honda ha incontrato quella gemella di Jay Howard. Dixon è decollato a quasi 400 km/h facendosi in volo praticamente tutto il rettilineo e atterrando all’ingresso della curva successiva dopo una carambola impressionante che ha ridotto la sua monoposto ai minimi termini. Non abbastanza però per impedirgli di tenere la pelle attaccata alle ossa portando a casa la prima salva e le seconde ancora tutte intere. Un miracolo. L’appuntamento per la seconda vittoria a Indianapolis è dunque rimandato, quello per tornare a Le Mans no.
 

 

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Venerdì 16 Giugno 2017 - Ultimo aggiornamento: 17-06-2017 17:03 | © RIPRODUZIONE RISERVATA
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